Questo libro è famoso. È Sapiens, da animali a dei, di Yuval Noah Harari.
Centomila anni fa almeno sei specie di umani abitavano la Terra. Erano specie insignificanti, il cui impatto sul pianeta era trascurabile. Oggi sulla Terra c’è una sola specie umana, la nostra, Homo sapiens. E siamo i signori del pianeta. Qual è il segreto del nostro successo?
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La storia dell’umanità secondo Yuval Noah Harari
Ci sono, sparpagliati per l’Europa e l’est Asia e l’Africa, pitture rupestri di migliaia e migliaia d’anni fa. Alcune sono vecchie di 30 mila anni. Quante generazioni fa sono 30 mila anni? Eppure quelli erano esseri umani come noi, non molto diversi di certo.
Duemila anni fa c’era l’antica Roma e Giulio Cesare. Quanti fatti sono passati da allora? Sono nella storia, ma è un tempo lunghissimo. Discendiamo da persone vissute laggiù, nella storia. Gente di cui non sappiamo nulla, ma avevano un volto e un nome. Vivevano in una storia che conosciamo.
Eppure duemila anni sono nulla in confronto 30 mila. Il ricordo si perde in un passato così nebuloso che non ci sembra importante. Eppure discendiamo da quella gente di 30 mila anni fa. Nelle pitture rupestri spesso sono dipinte le impronte di mani. Gli umani che noi eravamo 30 mila anni fa stavano già dicendo “io sono qui”.
Le storie dei nostri progenitori preistorici
Affermare la nostra esistenza è stato da lì in poi una costante. Vogliamo un nome, cerchiamo un significato e, poi di ogni altra cosa, costruiamo e raccontiamo una storia. Dove l’individuo non può arrivare, possono arrivare le generazioni.
Le storie che i nostri progenitori si raccontavano davanti al fuoco erano gli insegnamenti, pratici e morali, che permettevano alla piccola comunità di cooperare e scambiare conoscenza, per sopravvivere. Una persona da sola aveva ben poche possibilità di sopravvivenza, lo vediamo ancora oggi nel terrore ancestrale che le persone hanno a rimanere sole, ad essere rifiutate dalla loro comunità. Attorno al fuoco abbiamo sviluppato parole per raccontare storie e quelle storie raccontavano di com’era fatto il mondo, com’era possibile navigare il mondo. E raccontavano di noi.
Sapiens di Harari e la fiamma della civiltà
Quelle storie hanno anche conferito alle persone un enorme potere, quello di mettersi insieme in numeri sempre crescenti. Riuniti attorno a un’idea, a un proposito preciso, la gente poteva fare di più in grandi numeri di quanto non potessero fare in piccoli gruppi. Ogni volta che qualcuno imparava qualcosa lo trasmetteva agli altri, e tutti trasmettevano le informazioni più importanti alla generazione successiva. Così, ogni generazione partiva un po’ più avanti rispetto alla precedente.
Le storie permettono alla nostra specie di adattarsi molto in fretta. Non c’è bisogno di aspettare una mutazione genetica, la cultura del gruppo trasmette l’informazione necessaria alla sopravvivenza. Non attraverso i geni, ma attraverso i memi, il loro relativo culturale.
Il nostro amore per raccontare storie ha le sue buone ragioni. Abbiamo delegato a loro una parte sempre più grande delle informazioni che servono alla nostra sopravvivenza, codificandole nel linguaggio invece che nei geni.
I modelli comportamentali di Homo sapiens
Le storie hanno trasmesso modelli comportamentali e permesso la fiducia tra individui che pur non conoscendosi si riconoscevano entrambi negli stessi modelli, nelle stesse storie. Era la costruzione di valori morali, delle filosofie e delle religioni. La cosa interessante è che l’innovazione più grande che il linguaggio ha portato non è stato quello di trasmettere storie su leoni e gazzelle, ma quello di raccontare storie su cose che non esistono affatto: concetti e idee. La chiamano rivoluzione cognitiva, in cui la storia della nostra specie si è staccata dalla storia biologica per diventare cosa a sé.
Nel libro di Yuval Noah Harari c’è scritto “La vera differenza tra gli scimpanzé e noi è il collante dei miti, che lega insieme un grande numero di individui, di famiglie e di gruppi. Questo colante ci ha reso padroni del creato. Fa impressione pensare che gli esseri umani che vivevano 30 mila anni fa erano come noi. Avevano le stesse capacità fisiche, emotive e intellettuali che abbiamo adesso, eppure sembrano così infinitamente lontani, persi nella preistoria.
Il segreto della specie secondo Yuval Noah Harari
Concetto interessante del libro di Yuval Noah Harari è il collegamento che fa con le aziende, come entità giuridicamente separate dall’individuo, e che hanno permesso ancora di più alle persone di lavorare insieme per costruire qualcosa. Questo tipo di innovazione è possibile grazie all’immaginazione, alla creazione di un concetto nuovo.
Contro questa forza le altre specie umane che esistevano allora non potevano competere. La nostra specie esisteva già 150 mila anni fa, ma cominciò ad uscire dall’Africa solo 70 mila anni fa, solo si fa per dire… In giro per il mondo esistevano altre specie umane. All’avanzare della nostra specie, le altre scomparivano. Non sappiamo se la cosa sia stata violenta. Quasi impossibile che non ci siano stati incontri violenti. Sembra comunque che sia stato un processo lento e ci sono prove che molte delle altre specie umane erano ancora geneticamente sufficientemente simili da generare prole fertile e che effettivamente delle unioni siano avvenute.
Anche se pochi individui di altre specie umane ebbero l’opportunità di riprodursi con noi e quindi far salire i loro geni a bordo della specie vincente, l’unica che sarebbe sopravvissuta alla preistoria, rimangono dentro di noi geni di altre specie umane.
La scomparsa delle altre specie
Homo soloensis scomparve 50 mila anni fa, Homo denisova poco tempo dopo. I Neandethal scomparirono 30 mila anni fa. L’ultima specie umana che non fosse Home sapiens a sopravvivere furono una specie nana che viveva nell’isola di Flores. Scomparvero 12 mila anni fa. Da notare che anche se queste sono le date date nel libro, pare che i resti trovati da cui sono state dedotte queste date siano stati ridatati a 50 mila e più anni fa. Comunque, 40 mila anni più o 40 mila anni meno, fatto sta che siamo rimasti solo noi.
Insieme ad altre specie umane, l’arrivo della nostra specie segnò la fine di altre specie di mammiferi e uccelli di grandi dimensioni, dai mammut al diprotodonte. Eravamo, semplicemente, più intelligenti e più adattabili sia delle nostre prede che di specie in competizione con noi.
L’abilità di costruire il futuro
Ultimamente è di moda l’idea che siamo una specie brutta e cattiva, certe persone sembra quasi che pensino sia una virtù descrivere le persone come virus, come piaghe del pianeta. Questa mentalità è triste, e pericolosa. E anche se è sciocco descrivere tutto come una bella favola, ignorando i lati negativi delle cose, una mentalità che presuppone che la nostra esistenza sia problematica è a un passo dall’accettare una soluzione alla Thanos.
Non puoi costruire nulla di buono a partire da un cinismo così profondo da inglobare nella sua condanna l’intera specie. Per lunghi millenni anche la nostra specie è rimasta sull’orlo dell’estinzione. Non è stata esattamente una passeggiata. Ci sono indicazioni che ci siano stati vari “colli di bottiglia” genetici nella nostra specie, cioè momenti in un il numero di individui scese a una cifra molto bassa, pericolosamente bassa, a 15 mila individui o meno.
I nostri antenati hanno vinto il gioco più importante, quello della sopravvivenza, grazie alla loro capacità di avere idee, inventare tecnologie nuove e così adattarsi. E così faremo noi. Di certo, ne siamo capaci. E di questi tempi, la fiducia nella nostra abilità di costruire un futuro è più necessaria dell’automatica condanna di ogni iniziativa.
Dalla rivoluzione cognitiva alla rivoluzione agricola secondo Yuval Noah Harari
Dopo la rivoluzione cognitiva, c’è un’altra grande rivoluzione, quella agricola, in cui i nostri antenati impararono ad addomesticare animali e piante.
Mi ha fatto molto piacere scoprire che la primissima specie animale che i nostri antenati addomesticarono fu… il cane. Hanno trovato una tomba di una donna di 50 anni in Israele risalente a 12 mila anni fa. Le mani della donna, coricata su un fianco, è appoggiata sui resti di un cagnolino. Il mio pulcino ronfa nella sua cuccia di fianco a me. Una scena famigliare forse, avvenuta per milioni di anni. Forse certe cose non cambieranno mai.
Da allora in più c’è una forza constante: l’innovazione tecnologica passo per passo ha portato la nostra specie a procurarsi più cibo più facilmente e così non solo i nostri numeri sono cresciuti, ma una parte sempre più grande delle nostre facoltà mentali e del nostro tempo sono state spese per attività non direttamente collegate a procurarsi cibo. Ma a investigare il mondo, cercare di capire le cose, creare arte, religioni e filosofie sempre più complesse e inventare nuove tecnologie. A ogni innovazione, a ogni miglioramento, si libera sempre più capacità mentale da dedicare alla creazione di altre innovazioni e a costruire qualcosa di nuovo.
Ci sono stati nella storia alti e bassi, e probabilmente continueranno a esserci, ma il nostro stile di vita, le nostre conoscenze e le nostre tecnologie sono cresciute esponenzialmente nel tempo. E ancora lo stanno facendo.
Conclusioni su “Sapiens” di Yuval Noah Harari
Leggere la storia dell’umanità è come leggere una grande saga. E la saga in effetti inizia anche prima di noi. Lessi vari anni fa “Il racconto dell’antenato” di Richard Dawkins, che racconta la storia di tutta la vita, andando di antenato in antenato dall’inizio della vita a noi. Un libro molto molto bello se ti interessa l’argomento e che consiglio caldamente.
“Sapiens – da animali a dei” di Yuval Noah Harari non è male. E’ fantastico come primo libro del genere e come divulgazione generale, quindi lo consiglio. Penso sia diventato famoso per questo. Personalmente ho trovato un paio di concetti nuovi, il resto è ok. Fa molto quark di Piero Angela. Che è un complimento. Ma se uno ha già letto di queste cose, non troverà tante informazioni nuove.
La storia della nostra specie continua e la domanda alla fine di un libro così è inevitabilmente. E il futuro? Quali sono i pericoli? E quali le possibilità? E, soprattutto, ma dove sono gli alieni?
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