libro sull'esplorazione

Libro sull’esplorazione dell’Africa – Avventure lungo il Niger

“In un territorio sconosciuto, la tua ignoranza da sola, piuttosto che gravi errori e malevolenza, è sufficiente per portarti alla morte.”

Il Tenente Hourst fu un esploratore francese della seconda metà dell’800. Nel 1895 partì per un viaggio lungo il fiume Senegal, poi a piedi fino a Timbuctù e da lì, a bordo di tre piccole lance capaci di superare le rapide, giù per il fiume Niger fino all’Atlantico. Fu il primo a farlo e così facendo portò a casa informazioni sulla regione, sulla situazione politica e culturale di quelle zone e sulla navigabilità del fiume. E ovviamente la gloria della riuscita dell’impresa. Che ottenne, grazia a molta strategia e attenzione, senza perdere un singolo uomo e senza dover uccidere nessuno.

Il fiume Niger, arrivando dal Senegal, stupiva i primi viaggiatori e anche le tribù della zona, perché sembrava scorrere al contrario, anziché verso l’oceano, verso l’interno. Nessuno aveva tracciato completamente il suo percorso.

Puoi ascoltare questo articolo in versione podcast.

Libri sull’esplorazione dell’Africa tra ‘700 e ‘800

Il fiume Niger raggiunto anche da Mungo Park, un esploratore inglese alla fine del ‘700, un secolo prima. Avevano sentito di questo fiume che scorre al contrario e lo vide anche lui con stupore, desiderando scoprire quale fosse il suo percorso. Ma dovette tornare indietro tra mille tribolazioni e per poco riuscì a tornare vivo. Riprovò qualche anno più tardi. Riuscì a navigare una buona parte del fiume. Si pensa che sia stato sepolto vicino all’attuale Jebba, in Nigeria, dopo essere probabilmente annegato durante un attacco dei nativi.

Ho letto il libro che scrisse dopo il primo viaggio. Non è scritto in maniera coinvolgente, ma la storia è pazzesca in tutti i suoi dettagli. Il pericolo mortale e continuo e da più parti, dalla malaria, alla sete nel deserto, al vedersi negare un sorso d’acqua perché non era musulmano, alla sofferenza per mancanza di sale nella dieta.

Libri sull’esplorazione del Dottor Barth

Un altro esploratore raggiunse le zone, a metà ‘800, questa volta da Nord seguendo i Tuareg. Un esploratore tedesco, dottor Barth, diventato leggendario perché riuscì a conquistare la stima e l’ammirazione della gente del luogo, tanto da essere conosciuto con il suo nome arabo, Abdul Kerim, decenni dopo il suo ritorno in Europa.

Al suo passaggio il tenente Hourst diceva di essere suo nipote, per conquistarsi il favore, o per lo meno la tolleranza, dei capi delle zone in cui passava. La cosa era possibile anche se Barth era tedesco e Hourst francese perché la gente del posto non vedeva la differenza. Hourst stesso assunse il nome di Abd el Kader, perché la gente del posto non avrebbe ricordato facilmente un nome straniero. Ma Barth non scese il Niger, anche se passò lungo un tratto del Niger. Partì da Tripoli, attraversò il Sahara e arrivò al Lago Chad e poi fino a Timbuctù per poi tornare indietro.

Doveva essere un uomo eccezionale perché sopravvisse, costruì fiducia e ammirazione, imparò le lingue e al ritorno scrisse 5 tomi su usi e costumi e lingue di tutti i popoli che aveva incontrato con una precisione pazzesca. Non li ho letti, ma dall’occhiata rapida che ho dato, sono dettagliati al massimo.

Viaggio nell’Africa occidentale del Tenente Hourst

Quando il Tenente Hourst partì a fine ‘800 la situazione non era così difficile, ampie parti erano a questo punto colonie francesi, o sotto l’influenza francese, ma lui andò molto più all’interno. Mungo Park per esempio riferiva che la gente del posto pensava che i cristiani mangiassero soltanto uova crude e dice  che erano affascinati dai bottoni del suo gilè, che non avevano mai visto prima. Un secolo dopo le cose erano già diverse, ma per passare indenni bisognava comunque sopravvivere a molti pericoli.

Al suo ritorno il tenente Hourst pubblicò “Iniziativa francese in Africa: la narrazione personale del Tenete Hourst sulla sua esplorazione del Niger”. In italiano non esiste. Il tenente Hourst lo scrisse in francese. ovviamente, e la traduzione inglese si chiama French Enterprise in Africa: the Personal Narrative of Lieut. Hourst of his exploration of the Niger. Essendo stato pubblicato a fine ‘800, lo potete scaricare gratuitamente, come tutti gli altri libri di esploratori dell’epoca. Io l’ho scaricato da Archive.org, metto il link in descrizione. 

La preparazione per l’esplorazione

Hourst partì con tre barche con fondo piatto, per passare attraverso le rapide, due in legno e una in alluminio. Non erano a vapore, ma solo a vela, perché procurarsi la legna o qualche combustibile lungo il viaggio sarebbe stata una complicazione. Tutta la preparazione doveva per necessità essere meticolosa, prevedendo le necessità future. Un errore in questo senso e l’impresa sarebbe fallita.

Come trasportare le barche nelle parti del viaggio che non erano via fiume? Quali cibi portarsi dietro? Quali armi? Quali regali da fare ai capi locali? E il tutto doveva essere dentro un costo ristretto. Una cosa importantissima era scegliere i giusti compagni di viaggio, gente volenterosa e coraggiosa, che avrebbe saputo tener dure nei momenti di privazione e paura.

Ogni cosa fu organizzata per poter essere portata in sezioni da non più di 30 chili, comprese le barche, in modo che un portatore potesse trasportarle a piedi.

L’importanza dei regali nell’esplorazione di territori sconosciuti

I regali erano fondamentali. Uno dei regali più apprezzati finirono per essere le fotografie. Hourst aveva una fotografia del presidente francese nella sua cabina e lui spiegava alla gente del posto stupita da quella meraviglia che era il sultano di Francia. Ma Hourst raccomanda di portare anche: bastoncini di grafite che le donne fulani (una delle etnie dell’Africa occidentale) usavano come mascara. Passanti per le tende, apprezzati come ornamenti per il vestiario e per legare in cintura le armi dei guerrieri.

Conchiglie e gusci di tartaruga con cui le belle amano adornarsi i capelli. E poi pipe, sacchetti di tabacco, esche da pesca, aghi, coltelli e forbici, burnus (che sono quei mantelli con il cappuccio tipici del nord Africa), bottoni di vetro, corallo, ambra, seta a buon mercato e parasoli.

E poi selle in velluto ricamate, armi e indumenti e stoffe. Il regalo più ricco che si portò dietro fu una sella decorata in broccato d’oro.

Una bicicletta e un fonografo tra i Tuareg

Ma non erano solo i regali che potevano aiutare a conquistarsi la fiducia di un capo e guadagnarsi il suo lasciapassare e la sua influenza protettiva sulle altre tribù della zona, ma anche oggetti che scatenavano meraviglia e ammirazione.

Hourst aveva due magie: un fonografo, con cui registrava le canzoni dei suoi ospiti per poi fargliele risentire, e una bicicletta soprannominata Suzanne. Ma si portò con sé anche un coniglio meccanico a molla, una bambola che diceva “papa”, una rana meccanica che saltava, carillion e un organetto in miniatura che suonava la quadriglia. Hourst consiglia ai “futuri esploratori” di essere generosi con i loro doni ogni volta che è possibile, ma di non dare mai niente contro la propria volontà. Deve sempre essere un dono e mai sembrare un tributo.

C’era persino un agente commerciale specializzato al provvedere per le spedizioni di esplorazione. Andavano nei negozi e dai rigattieri di Parigi e cercavano oggetti curiosi e utili al minor prezzo possibile. Per esempio, per questa spedizione comprarono dei coltelli con la figura della Torre Eiffel sul manico.

Barche smontabili e via libera

Un esploratore deve essere bravo a impacchettare tutto, in modo da trovare ogni oggetto senza dover spacchettare tutto. Nessun bagaglio deve pesare più di 25 chili, ogni valigia e tutto dev’essere impermeabile, facile da maneggiare e di una forma geometrica regolare in modo da occupare il minor spazio possibile. Tutto dev’essere organizzato in modo che gli oggetti non struscino gli uni contro gli altri o scivolino in giro.

Poi naturalmente servivano armi. La certezza di ricevere violenza nel caso di attacco era il modo migliore per assicurarsi che un attacco non sarebbe avvenuto. E poi servivano tutti i via libera dal governatore e quanto più appoggio di istituzioni, sia militari che scientifiche o geografiche. Per avere fondi, via libera e aiuti. Serviva avere interpreti e guide o comunque procurarsene lungo la strada man mano che si procedeva, guide spesso fornite dal capo locale una volta che aveva il dato il via libera alla spedizione di passare sotto la sua area di influenza.

E se il capo non dava il via libera era molto difficile trovare qualcuno che volesse disobbedire al volere del capo e fare da guida. Ma alle volte era possibile, dando per esempio un passaggio a uno straniero che voleva tornare a casa o a una persona rigettata dal suo villaggio che voleva andarsene via.

Libro sull’esplorazione: da Dakar a St. Louis

La primissima parte del viaggio fu un treno, sulla tratta da Dakar a St. Louis nel Senegal. La nomino perché descrive il viaggio come infernale per il calore. Dice che gli europei mettevano del ghiaccio un un fazzoletto e poi sopra la testa sotto il cappello, per rinfrescarti. Dice che portandosi dietro del ghiaccio si riusciva magari ad arrivare alla fine del viaggio senza avere la febbre e senza soffocare.

Curiosamente, e con tutto il suo stupore, Hourst dice che la gente del posto adorava il treno, e lo prendeva per il gusto di prenderlo. Dice che ci fu un incidente in cui un treno deragliò e finì contro un baobab uccidendo parecchi nativi. Le autorità francesi pensarono che i nativi non avrebbero mai più preso il treno, invece arrivarono a prendere il treno in numero ancora più alto, ma adesso portandosi dietro degli amuleti per la protezione contro la strada di ferro.

Amuleti e diavandù

Questa è una costante lungo tutto il percorso. I gris-gris di protezione contro ogni tipo di sfortuna, e anche le maledizioni, eseguite da individui che a volte chiama “diavandù” e che offrono i loro servigi. Descrive il “corte” come l’incantesimo più terribile tra le popolazioni nere e pensa che fosse un veleno che uccideva al contatto con la pelle.

Descrive anche un incantesimo che qualcuno aveva fatto contro di loro: sulla carta di un quaderno preso tra i regali che avevano fatto, aveva scritto le più peggiori maledizioni che imploravano Allah sette volte di sterminarli, poi aveva lavato e spezzettato la carta in acqua e l’aveva data da bere a una capra. Dopodiché aveva mandato la capra da loro, pensando che loro l’avrebbero comprata e mangiata.

A un certo punto fanno bere a un diavandù acqua con del chinino contro la malaria, che ha un sapore amaro, per fargli credere che nell’acqua di fosse un incantesimo e che sarebbe morto se li avesse traditi.

Libro sull’esplorazione: da St. Louis a Timbuktù

A St. Louis formò la compagnia, ingaggiò i portatori e i rematori per il viaggio e si imbarcò su una nave a vapore delle poste francesi che faceva da spola lungo il ratto navigabile del fiume Senegal.

Uno dei portatori, tale Bilali Cumba, fece notare a Hourst che mangiare con le posate come facevano gli europei non aveva senso, disse mostrandogli le mani consumate dal lavoro “ciò che va bene per lavorare va bene per mangiare”. Fa una certa impressione che queste parole e il nome di questa persona uguale a milioni d’altre, che altrimenti sarebbe stata inghiottita nella storia e nel tempo, esistano ancora. Io qui posso sentire le sue parole e immaginare quella situazione.

Percorso il Senegal fino a che era praticabile proseguirono a piedi fino a Keyes, dove risiedeva il governatore francese. Da lì proseguirono a piedi fino a Bamako, poi Kolikoro, tutte città che esistono ancora e fa un certo effetto andarle a cercare su google per vedere le immagini di oggi. Ci sono ancora degli edifici dell’epoca costruiti dai francesi proprio in quegli anni.

Schiavi scappati a Koulikoro

Hourst racconta degli usi e costumi. Dice di una collina vicino a Koulikoro dove si rifugiavano gli schiavi scappati. Molti non sanno ma la schiavitù era endemica nella zona.

La Francia a questo punto aveva bandito la schiavitù, ma nella pratica permaneva perché i francesi non avevano controllo di ampie regioni e perché era parte del tessuto sociale. Ad esempio, i francesi arruolavano gente del posto che era abituata dalla tradizione locale a ridurre in schiavitù il nemico quando vincevano una battaglia. E gli ufficiali francesi spesso chiudevano un occhio, anche due, perché anche se illegale per la legge francese, non conveniva irritare soldati da cui il controllo del territorio dipendeva e capi alleati.

Più avanti Hourst racconta di schiavi liberati dai francesi che erano tornati dai loro padroni Tuareg, lo racconta come prova che i Tuareg trattavano bene i loro schiavi, c’è nel libro persino la fotografia di una schiava dei tuareg, una ragazzina. Più avanti ancora racconta di un mercato di schiavi, ed enumera i prezzi e via dicendo.

Rituali di passaggio e strumenti di zucca

Racconta anche di rituali di passaggio come la circoncisione e l’infibulazione nei bambini. Da notare che chiama i bambini “vittime”. Dice “sono portati a danzare e a gridare finché esausti di fatica, poi vengono portati a uno stato di semi insensibilità da grandi quantità di libo, una birra di miglio.

L’operazione è fatta con un piccolo coltello molto affilato su un mortaio per il miglio girato al contrario. I poveri bambini non devono piangere o lamentarsi anche se, giudicando dall’espressione sulle loro facce, soffrono parecchio. Mentre i bambini stanno bene dopo un giorno o due, le bambine sono debilitate per oltre un mese. Durante la convalescenza i bambini non possono tornare alle capanne dei loro genitori, ma restano sotto la cura dei fabbri e li si può vedere andare in giro per i villaggi in piccoli gruppi cantando.

Durante questo tempo viene loro permesso di prendere qualunque cosa vogliano senza dover pagare e portano con loro strumenti musicali fatti di zucca (quelle grandi zucche cave).

Cibi, bevande e tribù

Da notare che i “fabbri” rappresentano una casta particolare, tra sacerdoti e consiglieri. Al centro del villaggio c’è un grande baobab che si dice renda le donne prolifiche. Allora le bambine dopo il rituale si raccolgono attorno all’albero e sfregano lo stomaco contro il tronco nella speranza di assicurare progenie.

Descrive di cibi e bevande. Ad esempio di una bevanda nella regione intorno a Say fatta con le foglie di un’erba che cresce lungo le rive del Niger. Dice che gli europei trovano che abbia un gusto pessimo, ma dice che la gente del posto la apprezzano molto.

Racconta delle varie tribù, delle varie etnie e della loro storia, da dove si pensa che arrivino. E naturalmente e di grande interesse per l’epoca, delle loro alleanze. Ci sono ad esempio dozzine di tribù Tuareg. E, anche se con una cultura comune, hanno capi diversi e atteggiamenti diversi.

Arrivano a Timbuctù e da lì cominciano a scendere con le loro barche la parte navigabile del Niger.

Libro sull’esplorazione: Say e la lingua fulani

In più punti descrive le lingue del posto. In particolare a un certo punto si devono fermare per mesi vicino al villaggio di Say in attesa della stagione delle piogge per poter continuare perché il fiume è troppo basso per passare sulle rapide. Ma il capo della regione non è amico e quindi passano tutto il tempo su questa isoletta in mezzo al fiume. Una situazione tesa e difficile, che porta un po’ tutti ad avere problemi di testa. Questo finché non si inventano di imparare la lingua dei Fulani (un’altra etnia dell’Africa occidentale). E si mettono di gran fervore a scrivere una grammatica e un vocabolario.

Dice che è una lingua affascinante e necessaria per viaggiare e commerciare nella regione tra St.Louis e il Lago Chad, che esiste una parola per dire “dai un piccolo regalo per riceverne uno grande” e che non c’è una parola per “consigliare”, ma ce n’è una per dire “dare cattivi consigli” e una per “tradire sotto consiglio”.

Libro sull’esplorazione: i Tuareg

Un intero capitolo è dedicato alla descrizione dei Tuareg, che Hourst ammira per certe loro caratteristiche, in particolare l’apparenza regale e l’atteggiamento coraggioso e indipendente, e da cui è irritato per altre caratteristiche, come la tendenza ad elemosinare e a diventare rapaci quando è il momento di agguantare dei doni.

Cosa che mette in prospettiva, dice “immagina se un nababbo arrivasse nelle campagne europee a distribuire diamanti e pietre preziose”. E’ ovvio che all’epoca i Tuareg erano una pedina importante per le ambizioni francesi nella zona. Hourst descrive anche altre etnie. Com’è organizzata la società, come vanno in guerra, come le dame della società vestono e qual è il loro ruolo, trascrive persino canzoni.

Dice dei Tuareg: “quando penso alla loro vita errante, libera da restrizioni, quando ricordo il loro coraggio, che per loro è la più alta virtù, quando considero quanto davvero eguali sono coloro degni di uguaglianza, mi chiedo se non sono più felici di noi europei. La loro vita è difficile, e le loro abitudini frugali, ma non ha la consuetudine reso naturale questa vita, e sono loro davvero sensibili alle sue privazioni? La buona fortuna è per loro il premio per i coraggiosi che sanno vincere, ed è nelle razzie che la vittoria è guadagnata. Depredare gli sconfitti serve anche a lavare via la macchia di offese ereditarie, perché la vendetta non è confinata in Italia, ma spesso rende impossibile l’amicizia tra certe tribù africane. I beni di colui che perisce per colpo di spada diventano la proprietà di colui che l’ha inferto, e la morte dello sconfitto vendica qualche antenato che è stato saccheggiato o massacrato, oltre ad arricchire il conquistatore.”

Canzone Tuareg

Questa è la trascrizione di una canzone, che chiama la “Canzone di R’Otman” e la descrive come la marsigliese degli Azgueurs, cantata dagli Azgueurs in spezzo verso i Chambas, i loro nemici di sempre:

Morte a tua madre! Ma’atalla il diavolo è in te. Chiami i Tuareg traditori, uomini della pianura? Ah! Ma sanno viaggiare, combattere in battaglia, montare a cavallo al mattino e tornare di nuovo la sera! Sì, e sanno come arrivare sul nemico che dorme… Dorme a suo agio nella tenda con le sue greggi al suo fianco, avvolto nei suoi bei vestiti di lana, le sue tende e i suoi tappeti che si estendono sotto tutta l’ampiezza della volta. E se con il latte appena tolto dalle mammelle dei cammelli, se con la carne e il burro ha riempito la sua pancia, dritta come un chiodo a terra si conficca la lancia del vincitore, fuori con un grido e un urlo vola l’anima dell’ucciso! Affondata nella disperazione giace la moglie straziata della vittima, sparsi e svaniti i loro beni come acqua rovesciata!

La poesia rovente della storia.

Com’è leggere un libro sull’esplorazione dell’800

Questo tipo di narrazioni non sempre sono letture piacevoli, nel senso che non sono scritte per intrattenere, non sono romanzi. Sono scritte soprattutto per informare, per spiegare come stanno le cose. E sono scritti da esploratori, marinai e soldati, solo occasionalmente da giornalisti e quasi mai da scrittori. Quindi da una parte contengono molte informazioni concrete, dall’altro non hanno una storia, una narrazione forte. Ti spiegano come si vestivano i Tuareg, ti spiegano come sono le rive del fiume, dove sono le secche e dove le rapide, dove sono gli attracchi e i villaggi, ti spiegano magari in minutissimi dettagli quali vettovaglie si sono portati dietro, ma sono asciutti e i sentimenti vanno un po’ in secondo piano. Serve per dare informazioni, non tanto per farti vivere l’avventura con loro, anche se finisce per farlo lo stesso perché le vicende sono spesso molto forti.

Ho letto Travels in West Africa di Mary Kingsley che è il resoconto di un’esplorazione nella zona oggi del Camerun. E’ pieno di descrizioni naturalistiche e degli usi e costumi delle popolazioni della zona, perché questo era lo scopo del viaggio e dunque del resoconto.

Immaginare i luoghi lungo il Niger

Mungo Park fu un esploratore della zona che oggi è Mauritania, le stesse zone del tenente Hourst, un’avventura pazzesca, fortissima da un punto personale. Eppure il modo in cui è scritta non trasmette bene quanto potrebbe, neanche lontanamente. Da un certo punto di vista è un peccato, dall’altro è normale. Se vuoi avere un’idea di che cos’erano le esplorazioni a fine ‘700 “Travels in the Africa” è il resoconto di Mungo Park. Sono stati pubblicati altri libri che raccontano le sue esplorazioni, anche perché dal suo secondo viaggio non tornò, e quindi altri hanno scritto di ciò che si sapeva di ciò che era successo.

Tra l’altro il tenete Hourst, navigando lungo il Niger, passa proprio nel punto del fiume in cui Mungo Park morì, quasi esattamente un secolo prima. Fa un effetto particolare l’idea di passare nello stesso punto in cui qualcuno un secolo prima è passato, in un viaggio simile al tuo. Se oggi uno andasse lungo il Niger, potrebbe ancora riconoscere alcuni dei luoghi e chiedersi di ciò che accadde lungo le sponde cent’anni fa o duecento anni fa.

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