Nel 2006 un gruppo di giovani ingegneri di Spacex lanciò da un atollo del Pacifico, Kwajalein, il primo razzo di una nuova era: quella dell’esplorazione spaziale guidata dal settore privato, invece che da programmi governativi ultra miliardari. E con l’obiettivo ultimo di portare l’umanità su Marte. Il razzo salì verso i cielo, per circa 30 secondi. Poi il motore prese fuoco e il razzo precipitò nell’oceano, poco distante dalla riva. Il satellite che trasportava cadde sull’isola, precipitò attraverso il tetto di un capannone e finì per terra, più o meno in un pezzo unico. Gli ingegneri passarono i giorni seguenti a pescare i pezzi del razzo dalla barriera corallina, pensando mestamente a cosa fosse successo.
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Libro su SpaceX e sui suoi primi passi
Nel 2007 erano di nuovo sull’atollo, con un nuovo razzo. Questo riuscì ad arrivare nello spazio. Il secondo stadio si staccò dal primo. Tutto era perfetto, erano sulla soglia di un enorme successo: mai prima d’allora un’azienda privata era riuscita nell’impresa di mandare qualcosa in orbita. Prima d’allora solo lo sforzo di nazioni intere, e solo le più avanzate, ci erano riuscite.Ma dalla telecamera a bordo l’immagine della terra da lassù cominciò ad oscillare. E ad oscillare sempre più in fretta.L’ossigeno liquido all’interno del serbatoio cominciò a sciabordare, un effetto che nello spazio non può essere fermato. L’intero secondo stadio cominciò a ruotare su sé stesso sempre più in fretta finché il video s’interruppe. Il razzo e era perso.
Ci riprovarono di nuovo nel 2008, rincorrendo una situazione economica sempre più difficile. Ogni volo costava milioni di dollari e senza un successo era difficile attirare investitori o aiuti da agenzie governative. Il terzo razzo salì dall’atollo di Kwajalein senza problemi. Ormai sembrava che tutti i problemi fossero risolti. Il problema del secondo volo era stato risolto e non sembrava ne potessero sorgere altri.
Il terzo lancio di SpaceX
Ma tra il secondo e il terzo volo avevano fatto dei cambiamenti al motore del primo stadio. L’avevano testato e sembrava tutto a posto. Sfortunatamente i test erano stati fatti a terra, e la pressione atmosferica aveva nascosto un problema: il motore, allo spegnimento, sviluppava della spinta in più. La spinta era poca, e la pressione atmosferica al livello del mare la mascherava, ma nel vuoto dello spazio, quando il secondo stadio si staccò dal primo, portò il primo stadio a continuare ad accelerare, se pur di poco, e a sbattere contro il secondo stadio appena distaccato. Il secondo stadio andò fuori controllo. E il terzo volò fallì. Dopo tre fallimenti, SpaceX non aveva più risorse e sembrava che il grande sogno fosse finito. E fosse finito come tutti avevano previsto che sarebbe fallito, perché praticamente nessuno credeva nella loro possibilità di successo.
“Liftoff” di Eric Berger
Questo libro è “Liftoff” di Eric Berger. E’ uscito da poco, nel 2021. Non l’hanno ancora tradotto in italiano, ma spero che lo facciano. E’ un buon libro ed è una storia notevole. Soprattutto, io sono una grande fan di SpaceX e consiglio di andare su YouTube a guardare un po’ dei filmati dei loro lanci. Da allora hanno fatto di tutto. Non solo sono arrivati in orbita con il loro primo razzetto fatto su un isoletta del pacifico. Hanno lanciato il Falcon 9, un razzo per più grande, di dimensioni medie. Hanno cominciato a far atterrare il primo stadio e riutilizzarlo. Qualcosa che persino la Nasa diceva fosse impossibile. Andate a vedere i filmati se non li avete visti, ne hanno recuperati credo quasi un centinaio, ma fa sempre impressione vederlo.
Poi hanno lanciato il Falcon Healvy, una derivazione del Falcon 9, questo con tre primi stadi che atterrano autonomamente. Poi hanno cominciato a mandare astronauti sulla stazione spaziale internazionale. L’unica azienda privata a farlo, e per ora gli unici a poterlo fare in America. Le unica altre alternative sono i russi con la famosa Soyuz, che ormai viene utilizzata quasi invariata dagli anni ’60, e i cinesi. Fine. E SpaceX ha lanciato l’anno scorso la prima missione con a bordo solo civili, nessun astronauta professionista. Hanno creato la più grande costellazione esistente per portare internet nelle zone più remote dove non ci sono altri servizi.
Il programma Starship
E adesso stanno costruendo Starship. Anche questo, cercatelo su YouTube. E’ il razzo per andare su Marte. E tornare. E non solo andarci per piantare una bandiera, ma per costruire una colonia. Adesso lo stanno testando nel sud del Texas. Dovrebbero provare quest’anno a fare il primo volo orbitale. Han già fatto dei test per provare l’atterraggio. Fa impressione vedere questo razzo di acciaio alto quanto un edificio di 12 piani, tuffarsi dal cielo, girarsi in verticale a poche centinaia di metri da terra, riaccendere i motori e appoggiarsi piano a terra.
“Liftoff” torna indietro nel tempo a raccontare da dove tutto è cominciato. SpaceX è famosa per l’abililtà di sviluppare tecnologie in tempi rapidissimi, lasciando anche la Nasa nella polvere. La ragione per cui ci riescono è che lavorano e sono organizzati in un modo diverso. E non sono cambiati tanto rispetto ai primi anni diciamo rocamboleschi. C’è lo stesso spirito, ma più risorse e più esperienza. Però dai primi anni si capisce lo spirito dell’impresa. Che è una roba da matti.
Da dove è partita SpaceX
SpaceX è stata fondata da Elon Musk. Lui ha sempre pensato che andare su Marte fosse importante. Perché questo permetterebbe all’umanità di essere su due pianeti e cominciare a colonizzare lo spazio. E’ una cosa di cui ho parlato un po’ nell’episodio quello su “Dove sono gli alieni”, che è il numero 9. Se vogliamo capire la natura di ciò che esiste e rispondere alla domanda fondamentale sulla vita, l’Universo e tutto quanto, bisogna andare là tra le stelle. E sarebbe l’avventura più grande di sempre. La cosa più importante che potremmo fare come specie. Come ordine di importanza, portare al vita su un altro pianeta, equivale a quando i primi animali colonizzarono la terra ferma. E’ così importante da essere misurato su scala evolutiva. Quindi, Musk per prima cosa si chiese che cosa stesse facendo la Nasa al riguardo. Teniamo presente che questo era il 2001 o giù di lì e lui aveva in banca un 180 milioni di dollari, che era la sua parte della vendita di PayPal a eBay. Elon era uno dei co-fondatori di PayPal.
I programmi della Nasa per Marte e la missione oasi
Nel 2001 era lì che pensava a cosa fare e così andò a guardare cosa stesse facendo la Nasa per andare su Marte. Andò sul loro sito. Si aspettava di vedere una data, un programma, qualcosa. E invece non trovò proprio niente. La Nasa non ci stava neanche pensando. Elon pensò a questo punto che la Nasa, e dunque il pubblico, non avessero la volontà di andare su Marte. Cosa fare?
Pensò di fare una missione per scatenare interesse verso Marte. Il suo obiettivo era quello di spingere il pubblico e il congresso americano a dare più fondi alla Nasa con l’obiettivo di portare la prima persona su Marte. Parlò con vari esperti e appassionati e venne fuori con questa missione: mandare una piccola oasi con dei semi su Marte e poi farli germinare su Marte. L’immagine doveva essere le piccole piantine che crescevano su Marte. Cominciarono a progettare la cosa, ma c’era un problema: il budget. Lui aveva 180 milioni di dollari ed era disposto a spenderne una buona parte, ma il razzo più a buon mercato in America costava da solo oltre i 100 milioni di dollari.
Che fare allora?
Missili balistici intercontinentali… meno l’atomica
Provare dai russi. nel 2001 o giù di lì la Russia era in una situazione di caos e lui contattò i militari russi per contrattare la vendita di 2 missili balistici intercontinentali. Senza la bomba atomica. Per dire che tipo è Musk… e andò in Russia tre volte per contrattare la cosa. A un certo punto si trovò in questo edificio con le pareti imbottite, alle 11 del mattino con i russi che già andavano giù di vodka e uno dei militari russi che gli urlava addosso qualcosa in russo, e per via del fatto che gli mancavano due denti davanti, urlando gli stava sputando addosso. Insomma, più che altro continuavano ad alzare il prezzo.
Poi c’era un altra questione: tutta la difficoltà a procurarsi un razzo per lanciare la sua oasi su Marte aveva esposto il vero problema. Il costo. Con 180 milioni di dollari a disposizione doveva andare a farsi sputare addosso dai russi, perché ogni altra soluzione era troppo costosa. E lì capì che il problema non era la mancanza di volontà della Nasa. Era il costo.
La fondazione di SpaceX
A fine anni ’80 il presidente Bush senior chiese alla Nasa di conteggiare quanto sarebbe costato mandare il primo uomo su Marte. La Nasa venne fuori con un numero stratosferico, qualcosa nell’ordine dei trilioni di dollari. E Bush senior ordinò alla Nasa di mettere tutto nel cassetto e di non parlarne mai più. Che senso aveva mandare un’oasi su Marte per incuriosire e invogliare le persone a esplorare Marte, se poi non c’erano le possibilità tecnologiche per andarci davvero? Musk capì che non era una questione di volontà, era una questione di mezzi. In più i russi volevano fregarlo. In aereo, in volo per tornare negli Stati Uniti, Musk cominciò a fare un altro tipo di budget: quanto gli sarebbe venuto a costare costruire lui stesso un razzo?
I suo amici gli diedero del matto. Altri avevano tentato prima di lui e avevano fallito. Solo i governi potevano riuscirci, perché era così costoso. Il detto era: “come fai a creare una piccola fortuna nell’industria spaziale? Partendo con una grande fortuna”. Un suo amico gli fece persino vedere un filmato di razzi che esplodevano per dissuaderlo. Nel 2001 Elon Musk fondò SpaceX.
La follia di SpaceX
C’era una ragione per cui tutti avevano fallito. Non solo era costoso, ma bisognava trovare il giusto approccio per avere una possibilità di successo. Bisognava essere disposti a mettere tutte le risorse e lottare fino all’ultimo, non poteva essere un hobby. Bisognava trovare le persone giuste. Per dare un’idea. Musk all’inizio cercò un direttore tecnico, ma nessuno di quelli bravi era disposto a unirsi a un’impresa che quasi tutti pensavano sarebbe fallita. E quelli mediocri, che sarebbero saliti a bordo, non valeva la pena assumerli. Così, Musk finì per essere il direttore tecnico lui stesso. E lo è tutt’ora. C’è una bellissima intervista fatta qualche mese fa a Starbase, dove stanno costruendo e testando Starship, in cui lui fa fare il tour e va parecchio nel tecnico. E da lì si capisce che non lo dice per dire che è il direttore tecnico.
Dopo il fallimento del terzo lancio erano nei guai seri. I 180 milioni di dollari che Musk avevano all’inizio erano spariti. 100 milioni in SpaceX e gli altri in Tesla. Alla fine del 2008 Musk stava prendendo in prestito denaro dagli amici per pagarsi l’affitto. Ed era nel bel mezzo della crisi finanziaria. Alcuni vecchi amici dell’epoca di PayPal fecero un investimento in SpaceX, ma per lo più, SpaceX doveva cavarsela da sola. L’unica speranza era provare che erano in grado di andare in orbita. Altrimenti nessuno avrebbe dato un contratto.
Il quarto lancio
Avevano delle parti avanzate dal terzo lancio. Lavorando giorno e notte riuscirono a montare un quarto razzo, per un quarto tentativo. Per via del fatto che SpaceX non aveva più soldi dovevano fare in fretta. Finito di montare il razzo in California, dove hanno tutt’ora la fabbrica, non potevano trasportarlo per nave come facevano di solito, ci avrebbe impiegato troppo tempo. Affittarono dall’Air Force per 500 mila dollari un C-17, un’aereo militare da trasporto tattico, per trasportare il razzo per intero.Con il razzo come cargo, i tecnici di SpaceX lo accompagnarono. Tutto il futuro di SpaceX dipendeva da quel razzo.
Durante il volo tirarono fuori la chitarra e cominciarono rilassarsi, con i piedi contro il carrello che trasportava il razzo. Il viaggio proseguì senza problemi, ma quando ormai erano quasi arrivati udirono uno schianto. Un rumore di metallo che schiocca, che rimbombò attraverso tutto l’aereo.
Salvare l’ultima speranza
Bulent Altan, un ingegnere avionico di SpaceX, era in quel momento nella cabina di pilotaggio e per un istante pensò il rumore venisse dall’aereo. Ma poi sentì via radio la parola “razzo” e si precipitò di sotto con il cuore in gola. Nel vano di carico trovò una collega e amica Flo Li, era in lacrime. Gli indicò il razzo. Una fila di ingegneri di SpaceX guardavano attoniti, bianchi come cenci, il razzo da cui dipendeva tutto il futuro di SpaceX implodere. La struttura del razzo stava lentamente collassando, come una lattina di coca-cola che pian piano viene schiacciata.
Era la pressione atmosferica saliva allo scendere di altitudine dell’aereo per atterrare. Le valvole del razzo erano chiuse e l’unico passaggio d’aria tra l’interno e l’esterno era rallentato da un essiccante, per impedire all’umidità atmosferica di entrare nel razzo. Durante il decollo la pressione esterna era scesa sotto quella interna. Ma questa è la modalità normale per il razzo durante il funzionamento, è costruito per questo, quindi non c’erano stati problemi. Durante le ore di volo, la pressione interna del razzo aveva avuto il tempo per lentamente adattarsi a quella esterna. Al discendere dell’aereo verso l’atterraggio l’opposto era successo. Solo che il razzo non è costruito per avere una pressione interna inferiore a quella esterna. E adesso stava collassando su sé stesso.
Aprire la valvola
Altan tornò dai piloti a chiedere di riprendere quota. I piloti avevano una decisione da prendere. Avevano un aereo da 200 milioni di dollari e le vite di 24 persone a bordo a cui badare. La decisione più semplice era aprire il portellone e liberarsi del razzo e se non ci fossero stati a bordo degli ingegneri di SpaceX lo avrebbero fatto. Invece ripresero quota. Ma l’aereo aveva 30 minuti di carburante a bordo. Gli ingegneri di SpaceX avevano 30 minuti per risolvere, o futuro di SpaceX sarebbe stato gettato nell’Oceano. Non si erano portati dietro gli attrezzi per lavorare al razzo. Avevano dietro dei coltellini e usarono gli strumenti di bordo del C-17.
Qualcuno doveva entrare dentro il razzo, nell’interstadio, per aprire la valvola del serbatoio dell’ossigeno. E questo mentre il razzo stava continuando a implodere. Zach Dunn, che tra l’altro ha poi lavorato a SpaceX fino all’anno scorso, si offrì di arrampicarsi dentro, con qualcuno che lo teneva per le caviglie, pronto a tirarlo fuori. Riuscì a raggiungere la valvola e ad aprirla e l’aria fischiò dentro il razzo, portando la pressione interna allo stesso livello di quella esterna. Corsero tutti ad allacciare le cinture perché a questo punto era il momento di atterrare e tirarono un sospiro, mentre la superficie del razzo continuava a schioccare, questa volta tornando nella sua forma corretta.
SpaceX si prepara al lancio
Atterrarono a Pearl Harbour con un razzo danneggiato. Erano stremati. Chiamarono in California per dare la notizia. Venne loro detto di riposarsi per la notte, prima di ripartire il giorno successivo da Pearl Harbor per l’atollo di Kwajalein. Ma il tutto era stato organizzato così in fretta che gli ingegneri non avevano un’accomodazione alla base militare di Pearl Harbor e non avevano un passaggio per un hotel. Dormirono in aeroporto, sulle sedie. L’equipaggio del C-17 si prese compassione e gli portò delle pizze.
Arrivati sull’atollo, si misero a smontare e aggiustare il razzo. Avevano una settimana di tempo, con pezzi di ricambio mandati via aereo. Fecero quello che potevano, rompendo tutti i canoni dell’industria, improvvisando per risolvere i problemi. Alla fine, era tempo di lanciare. In sei minuti, o il razzo arrivava in orbita, o era la fine di SpaceX.
Conclusioni sul libro su SpaceX, “Liftoff”
Visto che SpaceX esiste ancora, il lancio fu un successo. La situazione economica di SpaceX era disperata, ma quel lancio fece sì che qualche mese dopo la Nasa desse a SpaceX un contratto da oltre un miliardo di dollari per sviluppare una capsula per trasportare cargo verso la stazione spaziale internazionale. La capsula si chiama Dragon, trasporta cargo verso la stazione dal 2012, mentre la versione adatta per il trasporto di astronauti vola dal 2020.
E’ una bellissima storia di successo. Fa vedere il rocambolesco inizio di SpaceX, che si vede ancora nel loro programma di test di Starship. Personalmente, ho pochi dubbi che su Marte ci arriveranno davvero. Se sei un appassionato di spazio e di esplorazione spaziale o di fantascienza e ingegneria, consiglio vivamente questo libro. E per i fan di SpaceX come me, ovviamente, è lettura obbligatoria. Spero che lo traducano in italiano, ma comunque non è una lettura difficile.
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