Questo libro sui disastri naturali si chiama “The Big One” di Lucy Jones. Racconta nel libro i disastri naturali accaduti nel passato per mostrare perché accadono, come mai la gente non si prepara, quali sono i meccanismi psicologici durante e dopo un disastro, come si può uscire da un disastro e come diminuire le probabilità che accada di nuovo…
La settimana scorsa, e le due precedenti, è caduto dal cielo più veleno di quanto le parole possano descrivere: cenere, lapilli vulcanici, pioggia gialla di zolfo e salnitro, tutto mescolato a sabbia. I musi, le narici e i piedi del bestiame che pascolava o camminava nell’erba sono diventati gialli e infiammati. L’acqua dei ruscelli è diventata tiepida e di colore azzurro, i pendii sono diventati grigi. Tutte le piante della terra sono bruciate, appassite, una dopo l’altra sono diventate grigie, mentre il fuoco è aumentato e si è avvicinato agli insediamenti.
Così scriveva il reverendo Jon Steingrimsson nel 1783 in Islanda durante le prime fasi della distruzione che il portò il vulcano Laki nel giro di un paio d’anni.
Disastro naturale in Islanda
Il reverendo Steingrissom scrive:
La lava continuò a scorrere per altri sei mesi. Quando le colate di lava finalmente si attenuarono all’inizio del 1784, il sollievo fu di breve durata, perché i gas velenosi continuarono a portare distruzione. Il fluoro avvelena il corpo, deforma le ossa e distrugge i denti. Gli zoccoli degli animali marciscono e le bestie si accasciano a terra. Disperate per la fame, alcune persone mangiano la carne contaminata di questi animali, e molti di loro muoiono avvelenate come risultato.
Jon si recò a Reykjavík per chiedere aiuto per il suo distretto. Gli fu dato del denaro dai rappresentanti danesi, ma gran parte gli fu rubato sulla via del ritorno.
Continuò a svolgere il suo ministero, visitava le fattorie, perlomeno dando sollievo agli animi, ma produceva e distribuiva anche medicine, per quello che erano le sue conoscenze. Documentava la sofferenza e la fame e, sempre più spesso, seppelliva coloro per i quali il suo aiuto non era stato sufficiente.
Cosa fa la differenza in un disastro naturale
Jon aveva l’unico cavallo ancora abbastanza sano per trasportare i corpi al cimitero, a volte cinque o dieci in una settimana. Teneva un registro nel suo diario di ogni persona della sua comunità che veniva a mancare, che passava dalla sua casa al cimitero della chiesa. Jon fu quasi spezzato quando la sua amata moglie di trentun anni, Thorunn, divenne un’altra statistica nel suo diario. Solo, senza combustibile rimasto neppure per accendere le lampade, con le mani e i piedi gonfi dal gelo, scrisse della tentazione del suicidio.
Nell’autunno del 1785, quando tutto ormai sembrava perduto perché il poco cibo che i pascoli martoriati avevano dato in estate era già finito prima ancora dell’inizio dell’inverno, Jon organizzò un ultimo viaggio.
Un uomo e due ragazzi ancora in condizioni di salute per viaggiare partirono per la costa, per vedere se potevano trovare qualcosa di commestibile. Gli altri attesero, consci che quella era l’ultima speranza prima dell’arrivo dell’inverno, che avrebbe ucciso tutti loro.
I tre esploratori trovarono un grande banco di foche sulla spiaggia. Fu una manna dal cielo, che permise alla comunità di sopravvivere all’inverno e da lì iniziare la risalita verso la normalità.
Il disastro oltre l’Islanda
Il governo danese impiegò oltre un anno per mandare una nave. E non per mandare aiuto, ma per capire cosa stava accadendo.
Una volta la gente era molto più isolata di adesso e doveva contare davvero su sé stessa. Se qualcosa andava storto l’aiuto, se arrivava, arrivava lentamente, perché le informazioni viaggiavano lentamente. Per un luogo isolato come l’Islanda questo era ancora più vero. L’aiuto arrivato dalla Danimarca fu minimo quando l’emergenza era così grande.
Tra l’altro, non è che l’Islanda fosse l’unica regione in difficoltà. Buon parte dell’Europa soffrì carestie e problemi a causa dell’eruzione di Loki. Il particolato e lo zolfo sale nell’atmosfera e ostruisce i raggi solari, raffreddando il terreno e causando inverni rigidi. In quegli anni ci furono una serie di anni di carestie che contribuirono ad acuire le tensioni sociali che infine sfociarono nella rivoluzione francese.
Disastri naturali e stress sul sistema
I disastri naturali mettono pressione e stress sul sistema e sulla società, ne rivelano i punti deboli e la società di allora era per certi versi più fragile di quella di oggi. Gran parte del terreno coltivabile in Islanda era coperto dalla lava o avvelenato dai gas. Gran parte della popolazione dovette abbandonare le loro case e diventare rifugiati su un’isola in cui non c’era alcun luogo in cui rifugiarsi.
Nelle tragedie in cui non sono solo i singoli a essere minacciati, ma l’esistenza stessa di una società, ci sono questi momenti rivelatori in cui un piccolo gruppo di persone, a volte un singolo individuo, possono fare con le loro azioni una grande differenza, guidando tutti gli altri. Le conseguenze economiche e sociali di una distruzione naturale sono ben più grandi e vanno ben oltre la distruzione momentanea dell’evento in sé.
Come un sistema può non riprendersi dopo un disastro naturale
Una foresta che cresce in un clima caldo e secco riesce a mantenersi grazie al microclima che essa stessa crea e può sopravvivere ai piccoli stress, ma se un grave incendio ne brucia gran parte, l’intero ecosistema non esiste più e la foresta non ricrescerà mai più. Verrà rimpiazzata da specie diverse adatte a un clima più caldo e secco.
Lo stesso vale per una cultura e una società. Cruciale per la sopravvivenza della comunità quando rapidamente riesce a riprendersi e far ripartire l’economia locale. La società islandese a quel punto sarebbe potuta collassare in una serie di reazioni a catena e la popolazione svanire o essere dispersa altrove.
Mi fa venire a mente un altro libro di cui forse parlerò a un certo punto “Collasso” di Jared Diamond. Il collasso di una società può accadere quando un evento naturale mette pressione su un sistema in cui sono presenti gravi falle. Questo innesca una serie di eventi causa effetto dai quali risulta quasi impossibile sfuggire. Comunque, sia in Collasso che in The Big One è evidente come la sfortuna gioca una parte, ma alla fin fine sta nella cultura e negli individui di ogni società riconoscere il pericolo e modificare i proprio usi per adattarsi.
L’Islanda sopravvisse grazie agli sforzi di chi come Steingrimsson distribuì il cibo, fornì aiuto medico per quel poco che si sapeva all’epoca e inspirò le persone a non darsi per vinte e avere speranza quando la notte era più buia.
Il capro espiatorio nei disastri naturali
Non sempre la comunità aiuta l’individuo. Situazioni estreme portano a comportamenti estremi.
Uno di questi è la persecuzione successiva a un evento distruttivo di un gruppo di persone, considerate “responsabili”. Un esempio di questo fenomeno furono i massacri della minoranza coreana dopo il terremoti del 1923 in Giappone. Sei mila dei ventimila coreani che vivevano a Tokyo e Kanagawa furono uccisi. Questo è un esempio particolarmente violento del nostro istintivo rigetto della casualità e dell’impossibilità di controllo.
Se accade qualcosa, ci deve essere una causa e una causa che possiamo controllare. Dire che è colpa di un gruppo di persone per quando falso nella realtà, fornisce il supporto psicologico di cui le persone hanno bisogno quando nella tragedia si sentono perse e impotenti del caos. In questo caso, il terremoto non solo aveva creato enorme distruzione, ma provò che le credenze tradizionali avevano avuto torto ed espose l’incapacità del governo.
Meccanismi sociali e psicologici scatenati dai disastri naturali
Sia il governo che i cittadini caddero allora nella febbre di paura e desiderio di controllo mentre voci che i coreani stavano incendiando case, avvelenando i pozzi e rubando. Tutti avevano un interesse di qualche genere a incolpare qualcun altro e così, sotto l’egida morale di “proteggere i cittadini da elementi pericolosi” migliaia di coreani innocenti furono torturati e massacrati, spesso con l’attiva partecipazione della polizia e del governo locale.
La maggioranza delle persone reagisce con sdegno, disgusto e tristezza verso la violenza che “i cattivi” possono avere verso gli innocenti, ma pochi sono disposti a scavare un po’ più a fondo dentro sé stesso. In fondo, se il governo ti dicesse che un gruppo di persone sta mettendo in pericolo il bene comune con azioni egoiste e maligne e dunque questo gruppo deve essere punito e i suoi diritti limitati, non sarebbe la maggioranza delle persone d’accordo?
La difficile verità sulla psiche collettiva
Non c’è cosa che la paura non porti a fare, e una persona colta da paranoia crede fermamente di star agendo razionalmente. Chiunque giudichi questi atti con l’idea che “io no” forse dovrebbe scavare un po’ più a fondo nel proprio animo. In particolare nel caso di un disastro che causa forte paura e ansia, il comportamento dell’individuo, in particolare quando si trova in una folla con simili sentimenti, facilmente perde di vista i propri valori morali e razionalizza azioni di violenza inaudita nel nome della sicurezza, della giustizia e della protezione.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma io noi stessi“
– Shakespeare
La grande alluvione della California, un disastro naturale dimenticato
California 1862.
Dal 6 novembre, quando è caduta la prima pioggia, al 18 gennaio sono caduti 82 centimetri di pioggia!
Ma non è tutto. Due volte, a volte tre volte più pioggia è caduta nei distretti minerari e sulla Sierra. Quest’anno nel Sonora, nella contea di Toulumne, tra l’11 novembre e il 14 gennaio sono caduti 182cm di pioggia e in alcuni luoghi oltre 150cm! E questo in un periodo di 2 mesi. In certi posti è caduta in due mesi tanta pioggia quanta ne riceve Ithaca in due anni.
Los Angeles mostrava 156 cm di pioggia, in una regione che normalmente ne riceve meno di 33 nel corso di tutto l’anno. Il risultato fu distruzione ovunque in California. La Central Valley in particolare è una enorme depressione naturale che corre per tutta la lunghezza dello stato. I torrenti che scendono dalla Sierra Nevada riempirono la valle di acqua che rimase bloccata lì e impiegò un intero anno a defluire via.
La distruzione di Sacramento
La capitale, Sacramento, era costruita sulla confluenza dei fiumi Sacramento e America e subì le perdite più gravi delle città. L’alluvione peggiore arrivò il 9 gennaio.
Il fiume America salì per primo e gli argini cedettero nella mattina. Gli argini del fiume Sacramento tennero, ma così l’acqua esondata dal fiume America rimase intrappolata nella città, tra il fiume esondato e l’argine che stava ancora trattenendo il secondo fiume. Il 10 gennaio il fiume Sacramento salì a 7 metri e mezzo sopra il livello di secca e poiché la città sedeva a 5 metri sopra il livello di secca del fiume, l’intera città era sommersa sotto 2 metri e mezzo d’acqua.
Il New York Times riportò:
La gran parte delle case migliori aveva da un metro a due metri d’acqua nel salotto. In molte case la linea della piena è visibile sull’intonaco del secondo piano. Dozzine di case in legno, alcune delle quali a due piani, sono state alzate e trasportate via dall’acqua… Tutto il legname, gran parte delle recinzioni e dei capanni, tutto il pollame, i gatti, i ratti e molte mucche e cavalli sono stati portati via dall’acqua.
Il disastro continua…
Il giorno seguente era l’inaugurazione del nuovo governatore. La cerimonia si tenne comunque e il governatore fu riportato dopo la cerimonia alla sua villa con una barca a remi e rientrò dalla finestra del secondo piano.
La gente tentò di continuare a mantenere le funzioni vitali della città, ma ogni funzione di basa stava collassando. Dopo dodici giorni la città fu abbandonata e il governo si spostò a San Francisco.
La devastazione fu tale che molti pensavano la città non si sarebbe mai più ripresa. In marzo la scena fu descritta così:
Gran parte della città è ancora sott’acqua, e ci è stata per tre mesi… ogni luogo basso e ogni cortile è pieno d’acqua, i muri delle case sono bagnati e tutto è disagevole… I cortili sono stagni circondati da staccionate dilapidate, fangose e viscide; armadi, tavoli, sedie, sofà e frammenti di case galleggiano nelle acque torbide o sono incastrate contro gli angoli e le nicchie degli edifici… Nessuna strada che porta alla città è fruibile, il commercio è fermo, tutto sembra abbandonato e miserabile. Molte case sono parzialmente collassate; alcune sono state strappate dalle loro fondamenta, molte strade (ora fatte d’acqua) sono bloccate da case che sono fluttuate fin lì; animali morti giacciono qua e là. Un’immagine orribile. Non penso che la città si riprenderà mai dallo shock, non vedo come possa.
La forza di volontà che va oltre il disastro naturale
E invece Sacramento si riprese.
Lo fece attraverso la determinazione della popolazione e un grande lavoro di ingegneristica: l’intera città fu ricostruita sopra il livello della piena. I residenti pagarono una tassa aggiuntiva per trasportare fango e sabbia per rialzare il livello del suolo di 3-4 metri per due miglia e mezzo di estensione della città. I residenti tagliarono degli edifici alle fondamenta e li rialzarono di 3 metri, altri abbandonarono il primo piano delle loro case e lo riempirono di terra.
Il processo impiegò 15 anni e un costo immane. Non volevano perdere la loro città. Il governatore tornò e a tutt’oggi Sacramento è la capitale amministrativa della California.
Disastri naturali, libro “The Big Ones”
Non credo che esista una traduzione in italiano di questo libro. Lo trovate comunque in inglese, si chiama “The Big Ones” di Lucy Jones. Non è male, ci sono parecchi aneddoti affascinanti, qualche principio importante, ma non è nulla di speciale. Però se vi interessa l’argomento ci sta.
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